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A Parigi , l’11 dicembre 2015, i rappresentanti di 195 paesi, hanno raggiunto un accordo che è stato definito “storico”. Il 22 aprile, di quest’anno, Giornata della Terra, 170 paesi (tra questi Cina , Stati Uniti India, Brasile e gran parte dell’Unione Europea ) lo hanno ufficialmente firmato.  Gli altri seguiranno. Hanno  concordato che i cambiamenti climatici sono una  seria minaccia  e non una uscita in fantasia di gran parte della comunità scientifica. Hanno finalmente deciso di chiudere la stalla (con tutta calma) quando ormai gran parte dei buoi sono scappati. Cercare di contenere il riscaldamento globale al di sotto della soglia di 2 C° è inquietante ma è meglio di niente.  Così può essere ancora interessante questo mio intervento sull’Educazione Ambientale pubblicato sei mesi prima della Conferenza.

 

La Terra non aspetta più (Pubblicato su Liber n.106  Aprile/Giugno 2015)

“L’educazione all’ambiente deve essere impartita a tutte le età e ad ogni livello di educazione”. Conferenza di Tbilisi, (UNESCO, 1977)

“Purtroppo gli animali superiori hanno una capacità e una tendenza a combinar disastri direttamente proporzionale alla loro intelligenza“. Konrad Lorenz, l’Anello di Re Salomone (1949)

“Non c’è più tempo”. “Si deve agire subito e ridurre a zero le emissioni di gas serra nel corso di questo secolo”. Sono le conclusioni del rapporto sul riscaldamento globale delle Nazioni unite, presentato lo scorso novembre a Copenaghen. Il documento è stato approvato dal Gruppo Intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (Ipcc). Gli scienziati si sono dichiarati certi al 95% che l’aumento dei gas serra dovuto a combustione di carboni fossili e la deforestazione siano le principali cause del riscaldamento globale iniziato nel ventesimo secolo. Se non si provvederà il mondo si troverà a breve a dover fare i conti con eventi irreversibili come l’innalzamento del livello dei mari, oceani più caldi e acidi, lo scioglimento dei ghiacciai e ondate di calore più frequenti e intense, fenomeni ormai innescati e in gran parte già visibili.

“Abbiamo i mezzi per limitare il cambiamento climatico”, ha dichiarato presidente dell’IPCC, Rajendra Pachauri, “le soluzioni sono molte e consentono la continuazione dello sviluppo economico e umano. Tutto ciò di cui abbiamo bisogno è la volontà di cambiare, che confidiamo, sarà motivata dalla conoscenza e dalla comprensione scientifica del cambiamento climatico”. Il professor Rajenda Pachauri, direttore generale dell’Istituto per l’energia e la ricerca di Nuova Delhi, con questa semplice dichiarazione ha fatto “Educazione Ambientale” e ha evidenziato le due sue componenti più importanti: scienza e speranza.

Il settimo sapere

Scienza e speranza sono l’opposto del cinismo e dell’incompetenza del Dottor Inevitabile, tratteggiato da Stefano Benni in un suo intervento pubblicato su La Repubblica mentre mezza Italia era alle prese con uno degli autunni più catastrofici degli ultimi anni. Sono anche termini lontani dall’idea di buona parte dell’opinione pubblica che spesso considera l’Educazione Ambientale solo una materia da impartire ai ragazzini.

In realtà l’Educazione Ambientale  si occupa di cose pratiche di tutti i giorni come la gestione dei rifiuti, di mobilità e salute, ma anche di economia ed energia, di stili di vita e di filosofia, e -scusate se è poco- del futuro dell’umanità a medio e lungo termine.

Entrano a far parte dell’educazione ambientale gran parte dei “sette saperi necessari” proposti da Edgar Morin, soprattutto l’identità e la coscienza terrestre, l’anello individuo-specie-società, la comprensione, la condizione umana, l’identità-diversità, e così via.

Educazione Ambientale è conoscere e rispettare l’uomo e la Natura, ma oggi soprattutto è “educazione al futuro”.

L’educazione alla fine del Mondo

Gli Onas erano una popolazione che viveva nell’estremo sud dell’Argentina, dove è vissuto anche Papa Francesco. Si è estinta definitivamente nella seconda metà del secolo scorso. Non praticavano forme di agricoltura: erano pescatori, cacciatori e raccoglitori. Vivevano in un arcipelago di isole dove il termometro anche d’estate scende sotto zero. Fin da piccoli sapevano come confezionarsi un abito di pelle di guanaco, come costruire una canoa, archi e frecce, come spalmarsi il corpo con grasso di balena per proteggersi dal freddo, come accendere i mille fuochi che ardevano di notte lungo lo stretto di Magellano. Erano produttori e consumatori consapevoli e loro stile di vita era perfettamente eco-compatibile con la natura intorno. Per gli Onas, come per tutte le popolazioni “primitive”, l’educazione ambientale coincideva con la formazione necessaria alla sopravvivenza del singolo e dell’intera tribù. Tuttora avrebbero molto da insegnarci in fatto di sostenibilità, vocabolo che sembra recente. Invece esprime un concetto antico, che era ben chiaro sia agli Onas che ai nostri antenati, di mille o diecimila anni fa: ” soddisfacevano i loro bisogni senza compromettere la possibilità delle future generazioni di sopperire alle proprie”.

Era una esigenza tribale e un comportamento ovvio, come dovrebbe essere il nostro.

L’educazione del duemila dovrebbe avere le stesse finalità, tenendo presente -come ha scritto David Orr- scrittore e docente di studi ambientali, che “ogni educazione è un’educazione ambientale”.

 

Naturalisti e precursori

L’interesse per la natura, scriveva Jean-Jacques Rousseau, deve essere alla base di ogni educazione. I libri di viaggio di tanti naturalisti del XIX secolo, primi tra tutti quelli di Wilhelm von Humbold e Charles Darwin, avevano finalità divulgative ed educative. Addirittura profetico fu lo scrittore americano George Perkins Marsh: viaggiando in Europa, Asia e Africa scrisse L’uomo e la natura, ovvero la superficie terrestre modificata per opera dell’uomo. Come titolo, in origine, aveva proposto “L’uomo, il disturbatore”. Giorgio Nebbia nella veste di storico lo cita come precursore dell’ambientalismo moderno e ne consiglia la lettura ai governanti di oggi e di domani. La sua ricetta -rimasta inascoltata soprattutto nel nostro paese- era “prevedere e prevenire”. Nato a Woodstock nel1801, Marsh è morto in Italia nel 1882, a Vallombrosa. “Chissà cosa direbbe se vedesse oggi le coste della sua amata Toscana”, aggiunge Giorgio Nebbia.

Anche Ernst Haeckel, inventore della parola “ecologia”, è stato naturalista e viaggiatore: definisce l’ecologia come “studio dell’economia della natura e delle relazioni degli animali con l’ambiente”. Anche Haeckel come Darwin aveva fatto un giro attorno al mondo raccogliendo migliaia di reperti e di osservazioni: non c’è dubbio che i viaggi aiutino ad avere una visione panoramica della complessità e dei delicati equilibri della natura.

Il primo documento istituzionale dove appare il termine “Educazione Ambientale” sembra risalga al 1948 . A Parigi, in occasione della costituenda Unione internazionale per la conservazione della natura (IUCN) è definita come “un approccio educativo capace di sintesi tra scienze naturali e scienze sociali” . Il termine sarà ribadito in varie conferenze e proposto come disciplina da insegnare nelle scuole e nelle università. In realtà pochi illuminati, negli Anni cinquanta, immaginano che sarebbe diventata una disciplina destinata a occuparsi di problemi globali e della stessa sopravvivenza dell’umanità. Anche le iniziative contro i fall-out radioattivi causati dagli esperimenti nucleari di USA e URSS, sono più vicine ai movimenti pacifisti che a istanze ecologiste.

 

Primavere silenziose

Nel 1962, negli Stati Uniti, esce il libro-simbolo che segna l’inizio dell’ambientalismo inteso come presa di coscienza di una parte dell’opinione pubblica. Ha un titolo suggestivo e poetico: Silent spring, ispirato da un verso di John Keats. È pubblicato in Italia da Feltrinelli. Rachel Carson era una divulgatrice “ufficiale” e come funzionario governativo aveva scritto varie opere sulla natura per il Fish and Wildlife Service, ente del Ministero dell’Interno degli Stati Uniti. Rachel aveva anche scritto un paio di libri di biologia marina dove metteva in luce le alterazioni prodotte dall’introduzione di agenti chimici artificiali. Ma con Silent spring mette in luce un fenomeno inquietante che tutti potevano verificare nelle campagne: la scomparsa degli insetti e gli uccelli. Su questo tema Pier Paolo Pasolini farà uno storico intervento sul Corriere della Sera ( 1° febbraio 1975) . Lo concluderà con la frase “darei l’intera Montedison per una lucciola”.

Silent sprint svela i meccanismi che portano alla distruzione di intere specie e i danni all’uomo partendo da un’azione apparentemente “buona” come la lotta agli insetti nocivi. Improvvisamente si scopre che il DDT, l’insetticida che aveva salvato dalla malaria tanti soldati americani e poi tante coltivazioni, non si decompone, anzi si accumula nella catene alimentari e finisce nelle uova degli uccelli e dei mammiferi. Si concentra nel fegato degli esseri umani e persino nel latte materno.

Il libro ha un successo straordinario e la Carson diventa una icona mondiale. Le ricerche effettuate dalle università di mezzo mondo confermano gli effetti collaterali del DDT e dei suoi parenti clororganici. Il DDT viene vietato negli Stati Uniti nel 1970, in Italia nel 1978. Se oggi in Europa abbiamo una normativa che impedisce l’uso di sostanze nocive in agricoltura lo dobbiamo a Rachel Carson e al suo lavoro di divulgazione, definito “troppo narrativo” dai suoi primi committenti.

 

I limiti dello sviluppo

Un altro piccolo libro che fa educazione ambientale ma soprattutto Storia è Il Rapporto sui limiti dello sviluppo, commissionato al MIT dal Club di Roma. Aurelio Peccei è uno dei promotori della ricerca. Il rapporto, pubblicato nel 1972, utilizza una delle prime simulazioni al computer e predice le conseguenze della continua crescita della popolazione mondiale e dei suoi consumi. Le curve, lette quaranta anni dopo, contengono qualche errore, ma cominciano a insegnare a economisti e politici che l’economia deve fare i conti con la natura.

Gli ambientalisti a loro volta devono fare i conti le esigenze delle nazioni in via di sviluppo e al Summit della Terra di Rio de Janeiro nel 1992 introducono il concetto di “Sviluppo Sostenibile”, che verrà declinato in vario modo dai paesi del vecchio mondo.

Gli anni che seguono lo storico Rapporto vedono vittorie e sconfitte dell’Educazione Ambientale. Mangiamo meglio e respiriamo un’aria migliore di quaranta anni fa, i detersivi inquinano meno, le acque sono mediamente più pulite. Il buco nello strato d’ozono si sta lentamente chiudendo. In Italia sono stati istituiti nuovi parchi e molte aree protette, si ricicla di più e si usano più energie alternative. Nel contempo la cementificazione non si è arrestata e la spazzatura nascosta sotto i tappeti trent’anni fa viene alla luce con il suo strascico di fuochi e lutti. Migliaia di specie e di culture si sono estinte, e l’ Effetto Serra è vicino al punto di non ritorno. L’Educazione Ambientale è l’unica risorsa che abbiamo per evitare che il bilancio diventi del tutto disastroso.

 

A scuola diventa obbligatoria

Il MIUR nel dicembre 2009 aveva pubblicato le Linee Guida per l’Educazione Ambientale. Positivo era l’approccio multidisciplinare aperto a tutti gli insegnanti che volevano impartirla. Era inserita nel tema della Cittadinanza e mirava a formare eco-cittadini. Le Linee Guida sono state una fonte notevole di idee e stimoli, ma la loro attuazione era affidata alle sensibilità e buona volontà degli insegnanti. Dal prossimo anno, secondo un progetto congiunto del Ministeri dell’Ambiente e dell’’Educazione, l’Educazione ambientale diventerà obbligatoria dalle materne alle secondarie superiori.

Per la scuola i suggerimenti più produttivi valgono per tutte le opere e azioni di educazione ambientale: “cercate di raggiungere risultati concreti”, “lavorate insieme”, “mirate alla gioia e alle gratificazioni collettive”.

Segnalo come esempio una scuola dove le classi sono messe in gara con le bollette energetiche delle loro famiglie. Devono cercare di ridurre i consumi e alla fine dell’anno vince la classe che dimostra –bollette alla mano- di aver risparmiato di più. Vincono i ragazzi, vincono le famiglie, vince l’ambiente, vincono tutti! L’Educazione Ambientale dovrebbe sempre mirare a questo. Altro consiglio è partire dal contesto locale per arrivare ai temi globali. Contesti non sempre facili, come emergeva dalla quantità di spazio che era dato dalle Linee Guida alla lotta alle ecomafie. Faceva dedurre che il nostro paese –non solo localmente- abbia più problemi di criminalità che di ambiente.

L’Educazione Ambientale è mission della scuola. Ma fuori di essa c’è un intero mondo che la fa e può lavorare in sinergia con essa. È nello statuto delle associazioni ambientaliste: Italia Nostra, Wwf, Legambiente, Lipu e così via. È nello statuto del Parchi Nazionali e regionali. È il fine primo degli ecomusei e delle fattorie didattiche. È sottintesa nei i servizi offerti dall’ecoturismo e dagli ecovillaggi. Scorre nelle vene di molti scienziati-divulgatori. Ha ispirato registi come Roland Emmerich , autore del film The day after toomorrow (Environmental Media Award, 2004). La troviamo in televisione nei servizi di Geo&Geo curati da Sveva Sagramola e in quelli di Mario Tozzi, geologo e divulgatore ambientalista. La ritroviamo tra le righe Mauro Corona, di Reinhold Messner, in tutti I libri di Folco Quilici…

La ritroviamo riassunta in cinque parole nel titolo del libro per ragazzi di Elin Kelsey: Buone Notizie dal Pianeta Terra. Qui troviamo un consiglio per tutte le stagioni che verranno. Prima di fare qualunque cosa, domandarsi: “come lo farebbe la natura?”

(Pubblicato su Liber n.106  Aprile/Giugno 2015)

Due le fonti consultate e da consultare:

Mario Salomone. Sostenibilità in costruzione. Istituto per l’ambiente e l’Educazione Scholé Futuro Onlus, 2013

Giorgio Nebbia. Natura e storia, Raccolta di scritti 1979-2014. Fondazione Micheletti